Margaret Mazzantini, Il catino di zinco, Milano: A. Mondadori, 2013, p. 12.
Prima edizione dell'opera presso Marsilio editore, 1994.
"Una
volta c'era una vecchia cattiva e sudicia, con le vesti così lunghe
da pulirci tutto il pavimento. Si teneva in casa una serva giovane,
che lavorava dalla mattina alla sera senza fermarsi mai.
Un
giorno a questa serva le scappò di fare un bisogno, ma la vecchia
stava sempre lì come un gufaccio a controllare. Allora,
spolverando s'accucciò un attimo, e lo fece in terra a mo' di cane.
Quando
la vecchia vide quel bel tortino fumante in mezzo alla stanza divenne
una diavola, e subito chiamò a raccolta l'intero paese per
svergognare la serva. A
turno tutti interrogarono quello stronzo con il ricciolo, ch'era
detto appunto faravioletto, chiedendo: «Stronzetto con quel
faravioletto in capo, dimmi chi t'ha cagato?» E lui sollecito
rispondeva: «Passa là, che tu non sei stato!» Durante
la processione la servetta si faceva sempre più rossa e tremava,
mentre la padrona, accoccolata nel fosso della sua sedia spagliata,
si godeva la scena. Ma quando la ragazza con la voce piccina piccina
fece la domanda, lo stronzo la licenziò con la solita risposta.
Si
alzò un mormorio tra la gente. La vecchia, temendo che lo stronzo
fosse timido, gli si avvicinò per vezzeggiarlo, e gli chiese, tutta
zucchero e miele: «Stronzetto, mio stronzetto con quel faravioletto
in capo, dimmi, delizioso, chi t'ha cagato?» Allora lui tirò fuori
un gran vocione, e sbottò: «Tu, brutta vecchiaccia!» E la vecchia
si buscò un sacco di legnate" (p. 12).
Margaret
Mazzantini (classe 1961), al suo romanzo d'esordio.
Note
di ©えっちゃん
- note di commento sono testi creativi originali ed, in quanto tali, soggette alle norme sul diritto d'autore -
- note di commento sono testi creativi originali ed, in quanto tali, soggette alle norme sul diritto d'autore -
L'autrice
ha scritto in memoria della nonna, Antenora, morta in seguito ad un
ictus.
Il
racconto nel racconto. Nel primo capitolo viene riportata una
storiella umoristica che l'io narrante aveva sentito raccontare dalla
nonna a Roma.
La storiella affronta in maniera
divertente un tema di rilievo socio-antropologico: il contrastato
rapporto tra due donne che incarnano ruoli sociali complementari ed
opposti, la vecchia padrona e la giovane serva.
La
padrona opprimente bistratta la giovane ridotta in condizione
schiavile (così nel mondo antico).
Nel
raccontino la cacca è l'elemento livellatore della
tensione tra le rappresentanti di due differenti classi (classi sociali e
generazionali). La cacca produce vendetta difendendo i diritti e i
“bisogni” essenziali dei ceti subalterni. Per sommo
spregio – con il massimo dell'effetto dissacrante e della comicità
carnevalesca (quella che predilige la risata crassa suscitata da
argomenti bassi) – la rivalsa dei servi viene attuata attraverso
uno stronzo fumante che, non per niente, si comporta da vero
“stronzo", sostenendo con proterva arroganza la menzognera
accusa che rovescia la situazione in favore della serva: "La
colpevole sei tu, vecchiaccia!". La burla porta ad un
rovesciamento della situazione ma, attenti, il fatto che la cacca sia
presentata come un personaggio parlante indica che siamo nella
dimensione dell'assurdo e solo in questa dimensione è attuabile il
tentativo di derisione (se non proprio di sovvertimento) dei rapporti
di potere tradizionali. In altre dimensioni, tutto ciò sarebbe
inconcepibile ed indicibile.
Nella
dimensione dell'assurdo la situazione viene portata all'estremo,
offrendo deformazioni ed esagerazioni retoriche: da una parte, la
serva supera i limiti della decenza concedendosi di evacuare sul
pavimento, dall'altra la vecchia è tiranna e megera, è sudicia e
cattiva, ha un atteggiamento eccessivamente oppressivo nei confronti
della serva, non concede a nessuno – nemmeno a se stessa –
comportamenti che possano essere ricondotti all'idea di una certa
mollezza di vita (infatti, la sedia su cui siede abitualmente è
spagliata e sfondata) poi, invece di punire il risibile
“misfatto” in sede privata, mette in essere un “processo”
pubblico caratterizzato nella forma e nel linguaggio da modi
artatamente teatrali. Si esagera, dunque, in ogni singola azione e lo
si fa in preparazione della rottura dell'ordine costituito con
conseguente esplosione finale di riso liberatorio.
Abbiamo
un lieto fine? Uno stronzo depositato nel posto sbagliato (sul
pavimento), comportandosi come un “pezzo di merda”, rovescia le
regole del gioco e rimette le cose a posto, ristabilendo un po' di
ordine e di giustizia (sociale) dove prima c'era solo oppressione.
La
carica rivoluzionaria della storiella, tuttavia, continua a sembrarmi
più superficiale che sostanziale. Vero che nell'immediato la cacca
riesce ad ottenere per la serva la liberazione dalle bastonate
punitive e la salvezza dalla vergogna del pubblico ludibrio ma si
tenga conto che nella storiella la serva ha l'unico merito di aver
deposto una deiezione corporale nel posto sbagliato. Per il resto, la
serva non ha voce né consapevolezza (anzi, ha paura di parlare) e il
cangiamento della sua (compassionevole) sorte arriva (insperatamente)
solo attraverso un intervento (esterno) con la mediazione da parte di
un personaggio immaginario.
Interessante
il commento alla storiella che si ricava dalla cornice narrativa: Antenora, la
nonna della Mazzantini, ride per l'ingegnosa ed irriverente burla ma la dinamica dei
fatti narrati la fa pensare ed arriva alla conclusione (dichiarata)
che è meglio non tenere gente a servizio.
Infine, libere
associazioni. Ad ogni modo, lo stronzetto parlante con il ricciolo in
capo ci fa pensare a Mister Unchi (Unichikun), il personaggio del
manga Dr. Slump & Arale. Mentre, l'indagine investigativa messa
in atto dalla vecchia megera per sapere chi l'ha fatta sul pavimento
di casa, richiama la storia della piccola talpa del libro di Werner
Holwarth “Chi me l'ha fatta in testa” (vedi post precedente).
©えっちゃん
Nessun commento:
Posta un commento